Quanto conta l’intelligenza emotiva sul lavoro?
Quando, invece, il QI (quoziente intellettivo) e le competenze?
Domande che trovano una risposta in numeri e percentuali, analizzando l’Empaty Business Survey 2023, una ricerca condotta da Ernst & Young.
L’86% dei dipendenti intervistati ritiene, infatti, che una leadership empatica aumenti il morale, mentre l’87% dice che l’empatia è essenziale per promuovere un ambiente inclusivo, fino a determinare che l’efficienza, la creatività e la soddisfazione derivino proprio dall’empatia che c’è tra leader e collaboratori.
Un tema che abbiamo approfondito con Chiara Arosio, Partner di Carter & Benson.
Che cos’è l’Intelligenza emotiva?
Temine coniato nel 1990 da due professori di psicologia dell’University of New Hampshire e di Yale, reso di dominio pubblico dallo psicologo Daniel Goleman che riteneva strettamente legate l’intelligenza emotiva e il successo lavorativo. L’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere, utilizzare e gestire le proprie emozioni in modo positivo per alleviare lo stress, comunicare in modo efficace, entrare in empatia con gli altri, superare le sfide e disinnescare così i conflitti. Una definizione che fa capire come averla sia determinante da punto di vista professionale. A confermarlo sono ancora i numeri. Secondo lo studio condotto da Ernst & Young emerge che l’empatia tra i manager e i dipendenti porti nell’88% dei casi una maggior efficienza, per l’87% più creatività e soddisfazione, per l’86% la condivisione di idee, l’85% l’innovazione e addirittura nell’83% dei casi un maggiore fatturato aziendale. Per sviluppare l’intelligenza emotiva, secondo Goleman è importante avere una abilità chiave: l’empatia.
E se l’empatia è fondamentale, è importante che ci siano anche consapevolezza, autocontrollo e abilità sociale.
Riuscire ad essere empatici sul lavoro rappresenta una maggiore possibilità di creare dei rapporti solidi e basati sulla fiducia e questo ha una grande incidenza anche sulla diminuzione del turnover e sull’aumento della motivazione.
Un aspetto quindi che può incidere molto sulle performance del singolo e, in generale, sul raggiungimento di buoni risultati dal punto di vista aziendale…
Siamo persone, ognuno di noi è il prodotto di esperienze emotive vissute nel proprio privato, nel sociale e sul lavoro. Per un manager è fondamentale comprendere a fondo le emozioni proprie e delle persone del proprio team. Ma avere la capacità di relazionarsi con gli altri in modo empatico parte innanzi tutto da una profonda consapevolezza di sé stessi. Attraverso la comprensione delle emozioni si può trasformare il proprio stile di leadership e far sentire i collaboratori più apprezzati e pertanto più motivati, creando un clima di fiducia e rispetto tra leader e lavoratore che migliora le performance e permette di evitare la perdita di risorse di valore.
Nel nostro lavoro di head hunting, come in quello della consulenza organizzativa, nella fase di assessment, la valutazione dell’intelligenza emotiva è per noi sempre più cruciale perché permette di essere predittivi rispetto ai comportamenti che metteranno in atto gli stessi candidati in uno specifico contesto aziendale.
L’intelligenza emotiva, come teorizza Daniel Goleman, è composta da cinque competenze: la consapevolezza, l’autocontrollo, la motivazione, l’empatia e l’abilità sociale. Aspetti che abbiamo inserito negli assessment che riguardano lo stile di leadership dei manager e che ci consentono di capire meglio chi abbiamo di fronte e che leader potrà effettivamente essere.
Quanto incide quindi l’intelligenza emotiva sul lavoro?
Esistono diversi stili di leadership e l’analisi del quoziente emotivo permette di essere ancora più predittivi riguardo allo stile che metterà in campo il manager che si sta analizzando. L’intelligenza emotiva è un fattore determinante sia in termini di fatturato aziendale sia di performance, ma incide anche sull’attraction e la retention dei talenti, soprattutto se si parla della generazione Z sempre più attenta alla cura del benessere lavorativo e sociale.
Pertanto le organizzazioni, che sappiamo essere già impegnate in notevoli investimenti per cercare nuovi talenti e mantenerli nei propri team, avranno sicuramente grande giovamento nel coltivare l’intelligenza emotiva come asset per la gestione delle risorse umane.